Breve tragedia urbanistica milanese
Prologo e primo episodio (ambientato a Milano, dal 1980 al 2009)
A Milano non è infrequente notare, in quartieri già densamente edificati, nuovi cantieri, per la costruzione di edifici residenziali, che sorgono in sostituzione di piccole officine, di garage, di tipografie, lavanderie, magazzini, depositi di legna e carbone, concessionarie d’auto, e simili attività non più redditizie, spesso nascosti all’interno di “secondi” o “terzi” cortili. Gli addetti ai lavori sanno che si tratta di preziosissime aree classificate B1Residenziale, ma, per quello che può interessare al semplice cittadino, diciamo solo che sono aree alle quali il Piano Regolatore, vigente dal 1980, assegna una volumetria residenziale superiore a quella esistente e quindi, una volta cessata la convenienza economica a mantenere gli edifici artigianali, i proprietari le cedono al fiorente mercato dell’edilizia residenziale “di completamento”. Generalmente su queste aree vengono eseguiti progetti di buona/ottima qualità architettonica, anche grazie ai prezzi di vendita degli appartamenti, che beneficiano del loro inserimento in quartieri consolidati e dotati di ogni servizio. Tranne uno: il verde pubblico.
Infatti, perché l’esigua quantità di verde pubblico, tipica di questi quartieri, sia incrementata in quantità proporzionata alla dimensione dei nuovi volumi residenziali, occorrerebbe che questi edifici insistessero su terreni qualificati B1Industriale e che fosse approvata una specifica variante al Piano Regolatore, con procedura abbastanza complessa e tutt’altro che rapida.
Così non avviene per i casi descritti all’inizio, che legittimamente possono incrementare il numero dei residenti, senza alcun aumento delle aree verdi.
Scandalo? Assolutamente no, dato che il Piano Regolatore del 1980 aveva precisamente calcolato una dotazione, complessiva, di verde pubblico, comprendente anche quella per l’edificazione delle aree B1Residenziale. Tanto era preciso il calcolo che, con altrettanta precisione, vennero indicati su una grande mappa del territorio comunale tutti i terreni già destinati (facile) o da destinare (difficile) a verde pubblico. Senza questa mappa (zonizzazione) l’intero Piano Regolatore non sarebbe stato approvato dall’ente competente (la Regione). E poiché per destinare, nei fatti, a verde pubblico un terreno, occorre che sia di proprietà pubblica, o lo si compera, o lo si espropria. In entrambi i casi bisogna, più o meno, pagarlo. Dal 1980 ad oggi questi acquisti si contano sulle dita di due mani, o poco più, e se il verde pubblico è effettivamente aumentato, lo si deve solo alla trasformazione delle aree industriali dismesse o ad altri incrementi di volumi residenziali che il PRG del 1980 non aveva previsto. In conclusione, avendo rinunciato all’acquisto del verde relativo alle zone B1R, il Comune di Milano avrebbe dovuto sospendere qualsiasi diritto di nuova edificazione residenziale di completamento. Non avendolo fatto, ha determinato una speciale illegittimità di quanto, per altro verso, ha concesso, e ha contribuito a ridurre sia la qualità ambientale della città, sia la salute dei propri cittadini.
Secondo episodio (ambientato a Milano dal 2009 a data da destinarsi)
Il Comune di Milano, con la circolare n. 2 del 24 marzo 2009 ha dichiarato guerra ai loft. Dopo una dozzina di anni durante i quali, alla luce del sole, sono stati abusivamente trasformati in abitazioni, anche assai eleganti, un discreto numero di piccoli capannoni e dopo che sono stati costruiti, con regolare concessione, nuovi edifici industriali multipiano, ciascuno costituito da una serie di graziosi “laboratori”, nei quali è piacevole abitare, anche solo per fruire delle enormi vetrate e dei terrazzi, efficacemente piantumati e dotati di caldi pavimenti in doghe di teak, sulle quali camminare a piedi nudi, i funzionari comunali preannunciano salatissime sanzioni amministrative, senza escludere risvolti penali. Comunicano inoltre che, questi edifici, evidentemente destinati alla residenza, ma costruiti secondo le regole urbanistiche riservate all’industria, non hanno fornito in dote la corrispondente superficie a verde pubblico prevista dalla legge per tutte le volumetrie residenziali. Di conseguenza i proprietari sono tenuti a porre rimedio, mediante acquisto di aree destinate a verde pubblico e successiva cessione al Comune delle stesse, onde riequilibrare il rapporto verde-abitanti.
Esodo e morale
Di solito, chi di spada ferisce, di spada perisce. Non il Comune di Milano, che anche questa volta pretende di essere l’eccezione che conferma la regola.