EXPO 2015: le cascine e i figli dell’assessore
“La fantasia e la concretezza” (Rizzoli 2003) è il titolo di un notevole saggio di Domenico De Masi, la cui lettura è d’obbligo per l’universitario impegnato nel corso di sociologia, ma che suggerisco a tutti coloro i quali, avendo responsabilità pubbliche, devono tenere in particolare considerazione l’evoluzione della cultura umanistica e scientifica in rapporto ai fatti storici, in modo da evitare, quantomeno, la vergogna della “scoperta dell’acqua calda”.
La citazione si rende necessaria dopo avere ascoltato i relatori della conferenza “Cascine Expo 2015”, tenutasi alla Triennale il 1° dicembre scorso, i quali hanno presentato le prime fasi di una proposta, di riuso appunto delle “cascine milanesi”, ai cui contenuti si può accedere dal sito Cascine Milano 2015. Qui ne do per eseguita la lettura e proseguo.
Anche a voler trascurare la copiosa letteratura che tratta della produzione agricola padana, delle sue convenzioni sociali e delle sue strutture edilizie, non si po’ dimenticare che proprio al tema delle cascine milanesi è stata dedicata, dagli anni ’70 in poi, moltissima attività di catalogazione, analisi e progettazione da parte del Politecnico di Milano, Facoltà di Architettura. Agli studenti impegnati nei “fangosi” sopralluoghi, già allora capitava di accertare l’incomprensibile stato di abbandono di importanti complessi edilizi e la conversione di molte centinaia di “pertiche” alla monocultura che, grazie ad una facile meccanizzazione, produceva ottimi raccolti con il minimo impiego di addetti. Non posso credere che il Politecnico di Milano sia ancora impegnato nella stessa attività di catalogazione o poco più! Anche perché, già allora, gli studenti, ritornando in quei luoghi dopo la laurea, ebbero modo di comprendere perfettamente che la politica urbanistica non aveva mai considerato l’agricoltura milanese altro che un’attività temporanea, in attesa dell’urbanizzazione di quei preziosi coltivi. E ciò era avvenuto nonostante la copiosa attività di ricerca “ideologicamente mirata” alla valorizzazione mediante la conservazione, e nonostante i richiami artistici di Ermanno Olmi. Evidentemente “sul campo” si fronteggiavano eserciti con dotazioni assolutamente impari.
Peccato, una bella occasione persa, ma non completamente se sapremo guardare ad esperienze più felici e se da quelle, umilmente, decideremo di imparare la lezione della storia e da questa orienteremo la politica urbanistica dedicata al territorio agricolo ancora presente a Milano. Tenendo ben presente, caro assessore Masseroli, che per fare la Storia non basta che i suoi bambini, come non diversamente succede anche ai miei, preferiscano trascorrere una domenica in cascina piuttosto che al parco Forlanini. L’errore nel quale, inconsapevolmente, i nostri piccoli ci inducono è proprio quello di pensare che il recupero dei valori culturali, sociali e ambientali, possa passare attraverso un restyling edilizio e funzionale, come proporrebbe, in ultima analisi, il neonato Comitato Cascine Milano 2015, assimilando le cascine ad una delle tante forme di contenitori edilizi, solo un poco più naif. A mio parere l’intervento dirompente non deve odorare di mattoni, ma di terra coltivabile. E per citare una soluzione dove l’agricoltura rischiava di essere sopraffatta dalla ostilità ambientale e dalla competizione economica insostenibile, voglio ricordare le scelte politiche adottate a tutela dell’agricoltura del “maso chiuso altoatesino”, che ha potuto conservare immutata la sua capacità produttiva, la sua funzione di salvaguardia del territorio, la sua struttura sociale, il suo pregio architettonico-ambientale. Si pone il caso che la politica locale in quella difficile situazione non abbia atteso la costituzione di un autoreferente comitato, ma, in tempi non sospetti e senza lo slancio di alcun evento internazionale, abbia autonomamente deciso la scala dei valori del territorio. E tra questi valori venne indicato come prioritario quello dell’economia agricola storicamente affermata e socialmente utile, anche sapendo di dover fornire il necessario sostegno economico all’intera filiera, quella che inizia nel bosco e termina a casa del consumatore, anche milanese.
C’è una grande differenza tra l’aiuto che si può dare al territorio e alle aziende agricole in quanto tali e quello che prevede di introdurre funzioni estranee all’agricoltura, con l’unico scopo di utilizzare un patrimonio edilizio che solo l’enfasi della retorica proposta alla Triennale rappresenta come se fosse la “redenzione” dalla discutibile qualità, estetica e sociale, dell’edilizia urbana.
Per non parlare dei dubbi che derivano da una tecnica costruttiva che, nelle cascine, senza farne addebito ad alcuno, a causa della inadeguatezza dei mezzi economici utilizzati all’origine, pone serissimi problemi di restauro conservativo.
Quindi che fare? Direi di abbandonare modesti comitati e pensare in grande, partendo dal P.G.T. ed abbandonando quella nefasta convinzione secondo la quale la sopravvivenza dell’agricoltura possa essere determinata dalla denominazione del suo territorio produttivo come “parco”. In quella convinzione c’è la superbia degli altri settori economici che considerano l’agricoltura come il territorio della loro beneficenza e che ne vorrebbero determinare la sopravvivenza in ragione della perequazione della rendita fondiaria, attirando così in un clamoroso trabocchetto la sua autonomia economica, che ne sarebbe compromessa definitivamente.
D’altronde, le riflessioni che sono indotte dalla tematica proposta da Expo 2015 suggeriscono, anche per l’agricoltura in ambito periurbano, una effettiva capacità produttiva assai lontana da quel ruolo folkloristico che il proposito del recupero delle cascine, per funzioni residenziali, sociali e ricreative, non può nascondere.