Centinaia di nuovi orti urbani a Milano
A 10 anni dalla costruzione dei primi Orti di via Chiodi, unici per superficie occupata e per formula di gestione, ci raggiunge la notizia che tra poche settimane il Comune di Milano metterà a disposizione alcune aree che i cittadini potranno trasformare in orti urbani. La superficie complessiva potrebbe superare i 20 ettari e si prevede che l’affidamento in concessione potrà essere trentennale.
La bella notizia, che è da accogliere con qualche riserva, almeno fino a quando saranno rese note le condizioni contrattuali, è di quelle che, per i risvolti urbanistici, possono determinare una svolta storica. Infatti le aree saranno evidentemente scelte tra quelle inedificate e coltivabili, quindi in buone condizioni ambientali. Aree di questo genere, in ambito urbano o periurbano, avrebbero un grande valore come “riserve” per future trasformazioni edilizie, anche per eventuali opere pubbliche o servizi generali. Quindi, la scelta di dedicarle alla coltivazione in città è un coraggioso sacrificio che, al contrario di quanto si potrebbe immaginare, non può prevedere un ripensamento, nemmeno a distanza di molti anni. Infatti è ormai ampiamente consolidata l’idea che l’agricoltura urbana debba rientrare, con una quota evidentemente contenuta di superficie, tra quelle funzioni irrinunciabili che devono essere previste ed offerte a chi sarà disposto ad esercitare una funzione attiva di gestione del verde (ognuno sarà responsabile dell’”angolo di terra” assegnato). Questi utenti, che nella maggioranza dei casi saranno famiglie, non saranno mai disposti a considerare l’eventualità che, anche per ragioni apprezzabili, si possa un giorno rinunciare a questa “buona pratica “ di uso del territorio e quindi costituiranno la principale garanzia della perpetuazione degli orti stessi.
Se l’esperimento troverà consenso, nonché utenti pronti a rimboccarsi le maniche e ad impugnare la zappa, sarebbe d’obbligo predisporre una normativa comunale che consenta pari opportunità anche alle aree agricole periurbane di proprietà privata, magari comprese nel perimetro del Parco Sud. Se così fosse, la tanto auspicata biodiversità potrebbe essere incrementata con l’intervento degli agricoltori per hobby. Quelli professionali sono ancora molto legati, non senza buone ragioni, all’economia del mais e del riso.