In casa dell’impiccato
Non si parla di corde, in casa dell’impiccato. In casa Assimpredil si è parlato di concorsi di architettura, e subito è riemersa la polemica sul caso “Arcimboldi”, del quale i più giovani troveranno copiosa letteratura, esentando queste colonne dalla replica. Non è bastata l’iniziativa degli imprenditori edili a favore della discussione del tema dei concorsi di architettura, a saldare una diversità di vedute che ha reso malinconico finanche il generoso buffet offerto dall’ospite. Mi chiedo se, in casi come questo, non sia più realistico e dignitoso riconoscere l’esistenza di un conflitto di interessi che, pur nella buona fede di entrambe le parti, impedisce la difesa di un “terzo” che, in questo caso, è la collettività.
A queste obiettive difficoltà si è aggiunto il fatto che, proprio a Milano, restano i marchi indelebili di alcune sfortunate procedure concorsuali: l’”Alba di luce”, le “Cinque Piazze per Milano”, i “Caselli Daziari di Porta Venezia”, “City Life”, la “BEIC” (clamorosa per i costi già sostenuti nonostante l’incertezza della sua realizzabilità finanziaria), e per finire “Expo” 2015, la cui società di gestione ha già escluso di poter bandire concorsi di architettura a causa dei tempi ormai troppo ristretti. Per quanto riguarda la cronaca della serata, con interessanti interventi di Daniela Volpi, Pierluigi Mantini, Giovanni Oggioni e Massimo Pica Ciamarra, tutti favorevoli ad una nuova stagione di concorsi di architettura, potrebbe bastare.
Ma sul tema dei concorsi di architettura e, se possibile, di urbanistica, qualche punto fermo, anche meno polemico, andrebbe messo.
1°- La finalità di un concorso di architettura deve essere di selezionare un singolo progetto tra una generalità di progetti, al fine di farlo eseguire da un soggetto che solo successivamente sarà a sua volta selezionato. Il progetto migliore? Sì, in quanto il più idoneo a conseguire gli obiettivi indicati dal bando. A rigor di logica si deduce che il primo a dover avere le idee chiare non sarebbe il progettista, ma chi bandisce il concorso. In questo senso sarebbe opportuno che questa facoltà derivasse da un’autorizzazione concessa, di volta in volta, da un ente coordinatore e unificatore che eviterebbe, per esempio, la produzione di una quantità abnorme di progetti, o l’eccessivo dettaglio progettuale, poiché entrambi generano un costo insopportabile. Analogamente si intuisce che in periodi, come quello in corso, nei quali la pubblica amministrazione tende a lasciare all’iniziativa privata l’indicazione degli obiettivi sociali, è improbabile che l’architettura delle opere pubbliche si attui sotto il controllo pubblico, ed è anche per questo che i concorsi di architettura sono al minimo storico, mentre quelli di urbanistica sono quasi inesistenti.
2°- Preliminare ad una ricca stagione di concorsi sarebbe, a mio parere, la condivisione, da parte dei committenti (sia pubblici che privati) e dei progettisti, di una affermazione assiomatica: non tutti i progetti di architettura e di urbanistica hanno la capacità di rispondere con pari efficacia alle prestazioni (estetiche e funzionali) richieste dall’incarico. Di conseguenza, sul presupposto che deve essere la pubblica amministrazione a tutelare la funzione sociale dell’architettura e dell’ambiente, orientando gli obiettivi dai quali deriveranno gli incarichi, con i concorsi si attuerebbe una selezione di qualità che potrà scontentare alcuni, ma che restituirebbe i benefici massimi alla collettività.
3°- Quasi sempre si presuppone che solo le opere pubbliche meritino una definizione concorsuale del progetto, perchè ciò deriva da obblighi di normativa europea, ma non si deve escludere che, in forma volontaria, si sottopongano a concorso anche opere private. E fin qui, non dovrei ricevere obiezioni. Ma a questo punto una provocazione appare legittima. Se l’esame della giuria di un concorso di architettura garantisce la migliore tutela architettonico-ambientale (secondo un sistema preordinato di valori), perché mai non abbiamo una procedura equivalente per la valutazione dei progetti ordinari?
4°- La serata mi ha permesso di chiarire una questione che forse non a tutti è nota, ma che sollecita una riflessione sulla qualità della progettazione urbanistica, anche dei PGT previsti dalla legge urbanistica della Lombardia: lo Stato non prevede alcuna riserva di legge a favore delle categorie abilitate alla progettazione (Architetti, Ingegneri ecc) per quanto riguarda la produzione dei progetti urbanistici, di qualsiasi dimensione territoriale!